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Dipendenze Psicoterapia

I Dipendenti affettivi

I dipendenti affettivi: la famiglia d’origine tra ripetizione e cambiamento

Quale storia familiare hanno i dipendenti affettivi? Da dove nasce questo bisogno d’amore in cambio di autosacrificio e negazione di sé?
I dipendenti affettivi hanno una storia familiare segnata dall’autosacrificio e dalla negazione di sé, accettati in cambio della possibilità di ricevere attenzione e considerazione dalle figure di accudimento. I dipendenti affettivi provengono da famiglie in cui entrambi, o un solo genitore, presentano una depressione o comportamenti problematici. In questi casi i genitori sono alcolisti o tossicodipendenti, incapaci di provvedere non solo ai propri figli, ma anche a se stessi, avendo necessità a loro volta di qualcuno che possa prendersi cura dei propri bisogni. Non è raro vedere famiglie in cui le relazioni di cura sono invertite, genitori bambini da un lato e figli adultizzati dall’altro.

Bambini adultizzati
Nella loro infanzia i dipendenti affettivi sono stati bambini che, dovendosi prendere cura dei propri genitori disturbati, non hanno potuto vivere serenamente la loro infanzia e completare il loro processo di crescita verso l’autonomia. In realtà si tratta di bambini a cui è stato trasmesso il messaggio che per essere amati dovevano prima di tutto prendersi cura del proprio genitore.

Tipologie di situazioni familiari
Byng-Hall individua alcune situazioni familiari che possono minacciare la sicurezza di un bambini. Una di queste è la rottura di una relazione genitoriale, con la conseguente paura di perdere il genitore. Una seconda situazione è la presenza di un genitore che non può contare sul partner e si rivolge ai figli come sostituti. Un’altra è la esistenza di situazioni conflittuali e di maltrattamento, dove la figura di attaccamento diventa la fonte del pericolo, e perde tutte le caratteristiche di cura e protezione per il bambino. Infine la ripetizione di script familiari ovvero scenari traumatici che hanno riguardato la vita dei genitori e che spingono questi ultimi a comportarsi come se le vicende del passato si ripresentano nel presente nel rapporto con i propri figli. A tal proposito molte relazioni da adulti vengono portate avanti nonostante il pericolo proprio per il fatto che ripetono la qualità delle relazioni di attaccamento avute.

Abuso e violenza
Goldner occupandosi di relazioni di abuso e violenza ripercorre le storie delle donne maltrattate descrivendo queste come persone che soffrono soprattutto di un senso di abbandono e svalutazione. Queste donne vivono con la sensazione di essere marginali, invisibili alle famiglie, o al contrario di essere additate come pazze e distruttive. Le famiglie di queste donne non rispettano e non riconoscono le richieste che le figlie compiono per se stesse. Le loro madri in maniera volontaria o negligente finiscono per non tollerare le necessità e le doti di queste figlie.

Le relazioni amorose dei dipendenti affettivi
Da adulti riprodurranno nella vita amorosa lo schema relazionale del passato, ossia alla ricerca di quel genitore amorevole e attento di cui non si è fatta esperienza. I dipendenti affettivi tenderanno ad esaltarsi ogni volta che si realizza l’aspettativa di averlo trovato, e a spegnersi nella depressione, tutte le volte che devono constatare il fallimento di essa. Una nuova storia d’amore può essere vissuta come una second chance, incarnata da un uomo, il cui mix di vulnerabilità e di atteggiamenti maschili vengono accettati come gratificanti per una figlia ignorata e non gratificata. Il modo in cui queste donne intrecciano determinate relazioni, e la ferocia con cui le mantengono, può essere ben spiegata in termini di lotta per il riconoscimento piuttosto che dall’emblema della femminilità masochista. Essere necessaria, essere adorata, e per la prima volta essere ammirata, crea l’illusione fiabesca di un nuovo inizio, così annebbiante da oscurare dolorose conseguenze.

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Dipendenze Psicoterapia

La contro-dipendenza affettiva: la paura di avere legami

La contro-dipendenza è una tematica ancora poco conosciuta. Di cosa soffrono i contro-dipendenti? Perchè non riescono ad avere legami?
La contro-dipendenza affettiva è l’altra faccia della medaglia della dipendenza. Se il dipendente affettivo è alla continua ricerca di un legame, perché spinto dal bisogno dell’altro, senza il quale sente di non valere nulla e di non poter sopravvivere, il contro-dipendente mette in atto un evitamento obbligato e compulsivo delle relazioni intime. Egli è guidato dal terrore di potersi scomporre e disgregare lasciando entrare una persona nella propria vita.

Le origini
La contro-dipendenza ha una storia familiare segnata dal vuoto e dal rifiuto da parte delle figure di accudimento. Questo ha generato nel contro-dipendente affettivo l’idea di un caregiver inaffidabile, assente. Di fatto, il contro-dipendente è stato un bambino rifiutato e non considerato nei suoi bisogni naturali, e ha dovuto fare a meno della presenza rassicurante del caregiver. Di conseguenza egli ha dovuto fare prematuramente tutto da sé. A causa di questa disconferma e di un non riconoscimento dei propri bisogni, questi bambini hanno imparato che doveva esserci qualcosa di sbagliato in loro. Questo li ha portati a smettere di chiedere.

Vita relazionale
In età adulta il contro-dipendente sarà incapace di provare emozioni, infatti egli risulta freddo e cinico, perché vive con disagio i propri bisogni di attenzione e di affetto. In sostanza non sente niente per se stesso e non è in grado di sperimentare empatia per gli altri. Il distacco emotivo nell’infanzia ha fatto sì che egli maturasse un falso sé: un’identità fondata sulle richieste altrui, e lontana dai propri bisogni ed emozioni. Questo tipo di personalità è incapace di provare amore e di costruire legami profondi perché ha dovuto rinnegare il bambino dentro di sé. In altri termini, il contro-dipendente ha abbondonato la spontaneità e la vitalità dell’infanzia, che gli avrebbe consentito, da adulto, di aprirsi all’altro con fiducia.

Autonomia o dipendenza?
La contro-dipendenza si differenzia dalla dipendenza affettiva per la marcata autonomia manifestata da questi soggetti. Infatti, apparentemente il contro-dipendente affettivo appare autonomo e sfacciato. Questa autonomia fittizia nasconde una problematica di dipendenza, che prende altre forme: dipendenza da sostanze, gioco d’azzardo o sesso compulsivo.

Le tre forme della contro-dipendenza
Il contro-dipendente possiede anche altre strategie per compensare il vuoto di sé e tenere a distanza i propri bisogni. Nella versione narcisistica, il contro-dipendente si lascia sedurre dalla propria immagine, mentre l’altro è utilizzato soltanto come specchio riflettente il suo ego. Pertanto, egli appare arrogante, presuntuoso e aggressivo. Spesso la vittima è una persona dipendente che ha bisogno di idealizzare il proprio partner. Se apparentemente egli è autonomo e orientato al successo, in realtà dipende totalmente dalla propria immagine ed ha bisogno di un pubblico di spettatori che possano confermarla. Un’altra forma di compensazione è quella psicopatica, in cui il traguardo ambito è il potere sull’altro. Lo psicopatico nega i sentimenti e i bisogni del sé, e si definisce per la sua sete di dominio e controllo. Questi ultimi vengono esercitati attraverso la prepotenza, la sopraffazione o un approccio seduttivo. Ma anche in questo modo manifesta la sua dipendenza, ovvero dal potere. Infatti egli ha sempre bisogno di qualcuno da sottomettere per confermare la sua immagine di forza. Infine, un’ultima forma è quella etero aggressiva. Il narcisista e lo psicopatico, se offesi nella propria immagine di onnipotenza da un partner che non riescono più a controllare, possono scegliere come estrema soluzione quella di distruggere l’altro. Ed è proprio in quest’ottica che vanno considerati quelle forme di persecuzione messe in atto dagli stalkers oppure gli omicidi compiuti per mano di ex amanti o coniugi. Negli ultimi anni questi fenomeni sono diventati così frequenti da richiedere misure legislative per contrastarle.

La contro-dipendenza è una tematica ancora poco conosciuta. Di cosa soffrono i contro-dipendenti? Perchè non riescono ad avere legami?

La contro-dipendenza affettiva è una tematica ancora poco conosciuta. Chi sono i contro-dipendenti affettivi? Perchè non riescono ad avere legami?

La contro-dipendenza affettiva

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Emozioni Psicologia

Il nostro rapporto con il cibo: cosa non ci dice la bilancia

Che rapporto abbiamo con il cibo? Quanto influisce la bilancia sul proprio benessere psicofisico? Quanto incide quel numero sulla nostra vita affettiva?
Il rapporto con il cibo è molto complesso. Esso ha a che fare non solo con le nostre abitudini familiari ma riflette anche il nostro equilibrio psicofisico. Quante volte ci capita di scaricare la rabbia repressa, l’ansia, lo stress, e le tensioni sul cibo? Quante volte l’unico sfogo è il nostro amato cibo preferito? Possiamo vivere questo rapporto come un rifugio, come un allentamento del nostro controllo, come un momento di svago dalla noia. Il rapporto con il cibo riflette dunque il nostro stato emotivo ed è indice del nostro benessere psicofisico.

Noi e la bilancia
Quando iniziamo una dieta, o come preferisco sottolineare una sana alimentazione, la prima tendenza è il controllo del peso. C’è chi si pesa più volte al giorno, chi una volta alla settimana, chi invece lo ripete ogni giorno. Il controllo della bilancia diventa fondamentale. Cosa ci dice, però, quel numero sulla bilancia? I nutrizionisti lo sanno: poco o nulla. Infatti, al controllo del peso si associa la BIA. Quest’ultima è un’analisi per valutare in maniera qualitativa e quantitativa la composizione corporea. Quindi per avere una panoramica completa non è sufficiente il peso corporeo. Eppure parte tutto da lì.

T’ami o non t’ami
Se la routine del controllo sulla bilancia ci indica un aumento del peso possono scatenarsi più reazioni. C’è chi inizia male la giornata, chi si rifiuta di uscire di casa perché si sente a disagio, chi non si lascia toccare né avvicinare dal compagno perché “si odia”. Quel numero diventa l’indice della bilancia della stima e della considerazione che abbiamo per noi stessi. Un aumento segnala il nostro fallimento: non essere abbastanza. Non essere abbastanza brave, abbastanza belle, abbastanza accettate, abbastanza amabili. In realtà la bilancia non ci dice quanto valiamo, non misura la nostra stima, seppure molti di noi la vivono così. Eppure la bilancia una cosa ce la dice: o ci amiamo o non ci amiamo. Il nostro valore e l’amore per noi stessi dipende da un numero e questo ci fa capire che bisogna correre ai ripari.

Un percorso per amarsi
Per stare bene con se stessi e vivere al meglio il proprio corpo non basta seguire una dieta. In primis perché se la bilancia segna sempre quel peso e non dimagriamo subito possiamo scoraggiarci e demotivarci a continuare. Spesso dietro questo atteggiamento c’è il desiderio di raggiungere i risultati “tutto e subito”, poichè c’è un’incapacità a tollerare le frustrazioni e le attese. Un altro atteggiamento è “massima resa minimo sforzo”, per questo motivo si vorrebbe dimagrire tanto e senza rinunciare troppo alle care vecchie abitudini. In tutti questi casi ciò che emerge è poca autostima, scarsa autonomia, poco amore di sé. Pertanto, è fondamentale non solo prendersi cura del proprio fisico, ma iniziare un percorso di consapevolezza e di cura di sé per guarire nuove e vecchie ferite. La bilancia non ci dice se noi valiamo o meno ma ci racconta una storia di non amore per noi stessi da tutta una vita.